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La ricerca della felicità con le app. Diario di un viaggio

La ricerca della felicità con le app. Diario di un viaggio
Laura Ceridono

Laura Ceridono

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La dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America elencava come diritti inalienabili dell’uomo: “La vita, la libertà e la ricerca della felicità”. Era il 1776, e da allora non abbiamo ancora smesso di cercare. Cerchiamo la felicità in tutti modi. Anche con la tecnologia. Così almeno ho fatto io. E questa è la mia storia.

Il 2013 è stato un anno crudele, amaro. Triste, anche. Di quella tristezza che ti impone il destino quando decide di giocare a dadi con la tua vita, togliendoti persone che amavi e lasciandoti solo a decifrare il mistero dell’ineluttabile.
Certi momenti difficili non dipendono da noi e non possiamo evitarli, per questo sono così duri. Possiamo solo attraversarli
a testa bassa, in apnea. Ma se non possiamo evitare il dolore, forse possiamo influenzare quello che dipende da noi, essere arbitri delle nostre sensazioni. Stare bene. O almeno provarci.

La lista delle cose che valgono la pena

Nel momento più duro di questo maledetto 2013, un giorno un’amica mi disse: “se vuoi sentirti meglio, concentrati sulle cose che ti fanno stare bene”. Mi accorsi con stupore di non sapere esattamente quali erano queste cose. Provai a fare un elenco. Ma non aveva troppo senso, e sentivo che mi stavo dimenticando qualcosa di fondamentale. Decisi di approfondire la questione, con tutti i mezzi a mia disposizione, a cominciare da quello che uso più spesso: internet.

Provai varie applicazioni, per scaricare sul mio Android quello che l’umanità si affannava a ricercare da anni. Una mi colpì soprattutto per il titolo: “Secret of Happiness”. Il segreto in questione era rinchiuso in un’app fatta un po’ di fretta e bruttina.

L’idea alla base comunque è buona, anche se non originalissima: pensare per 30 giorni qualcosa di positivo, fino a “forzare” il cervello a convincersi che la vita è meravigliosa. Il funzionamento è semplice: ogni mattina scrivi 3 cose per cui sei riconoscente e la sera riporti un avvenimento della giornata di cui sei particolarmente soddisfatto.

L’ho provata per alcuni giorni, ma c’erano vari impedimenti. Innanzitutto, non ho il risveglio semplice. Specie nelle gelide mattine di inverno, quando la sveglia ha suonato da poco e fuori ancora è buio. Mentre trangugio un caffè con sguardo truce, mi è davvero difficile pensare a ben 3 cose per cui essere riconoscente, soprattutto perché devono essere diverse ogni giorno. La grafica tristanzuola dell’app e l’idea che il nostro cervello sia un cane di Pavlov che possiamo ingannare a colpi di “pensiero positivo” mi hanno fatto desistere definitivamente.

Dopo una serie di altre applicazioni improbabili, ho trovato The happiness diary, app per tracciare gli eventi più felici, metterli in relazione tra di loro e costruire una “mappa della felicità”. Molto carina, ma un po’ complicata come approccio iniziale, e l’integrazione con Facebook, anche se non obbligatoria, toglieva intimità alla mia “ricerca”.

Poi una sera mi ritrovai per caso a guardare questo video. Matt Killingsworth, dottorando a Harvard, ricerca le cause della felicità. È ideatore del sito trackyourhappiness.org, dove si indagano i fattori che contribuiscono a rendere una persona felice.

È un progetto scientifico, e partecipare è semplice come iscriversi al sito e decidere a che ora e ogni quanto vogliamo che il sito ci mandi una breve inchiesta. Il programma è ottimizzato per iPhone, ma sul mio Nexus 4 funziona benissimo. Anche perché in realtà non è una vera e propria app, ma un’applicazione web che si può utilizzare dal cellulare. Ho impostato un’inchiesta la mattina e una la sera. Rispondere alle domande non prende più di 5 minuti.

Farsi delle domande

Due volte al giorno mi ritrovo quindi a interrogarmi su questioni tipo “quanto sei felice in questo momento”, “senti che quello che stai facendo contribuisce ad un obiettivo”, “sei da solo o con altre persone”, e molte altre ancora. Le domande variano in base ai giorni e in base alle tue risposte, quella iniziale, “come ti senti in questo momento”, che serve come metro di paragone per il resto delle risposte.

Track your Happiness raccoglie 50 “inchieste” e poi incrocia le variabili. Al termine si riceve un report con i dati. Non ho ancora ricevuto il documento finale, ma ho già scoperto che in genere sono più felice quando sono in palestra che quando mi trovo a casa (e io che pensavo di essere poco motivata) o che il venerdì sono meno felice del giovedì (ah però!) ma il giorno più felice in assoluto per me è il sabato. Ho trovato anche informazioni che già sapevo, come che sto meglio in compagnia che da sola, meglio fuori casa che dentro, meglio concentrata che distratta… Cose così. Niente di rivoluzionario.

Ma mi sembrano reminder utili. Inviti a osservarsi di più, a concentrarsi sugli altri ma anche su sé stessi, a essere presenti nel momento. Non so cosa scoprirò nel report finale, ma intanto sono contenta di dedicare parte del mio tempo a “studiare” cosa mi fa stare bene.

Chissà, forse davvero la felicità non è una meta, ma un modo di viaggiare…

Quello che ho già capito è che la tecnologia serve a ricordarti che la felicità la devi cercare. Ti ricorda anche che a volte la trovi, questa benedetta felicità, ma dura un attimo, poi la smarrisci chissà dove, come il mazzo di chiavi dimenticato nel taxi e che scopri di aver perso solo quando sei davanti casa, sotto la pioggia, e il taxi è già lontano… Allora devi ricominciare a cercare, di nuovo. Probabilmente per sempre. Non esiste una felicità che vada bene in eterno, c’è solo quella che corrisponde alla tua vita in quel momento. Come quando sei piccolo, e il massimo della gioia è una passeggiata al parco, raccogliere margherite, tuo papà che ti scatta una foto e tutto quello che serve è lì; e tu sei davvero, pazzescamente, felice.

E poi cresci, e la felicità si trasforma, e la devi inseguire. E poi le cose cambiano. Cambi tu, cambia la tua vita. E devi usare tutto quello che puoi per continuare a cercare. Anche la tecnologia.

Sarà un lungo viaggio, ma ne sarà valsa la pena.

Laura Ceridono

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